Ampia intervista al Segretario Generale della Cgil di Padova, Aldo Marturano, su il mattino di Padova di ieri, domenica 23 aprile, a firma del vice caporedattore Claudio Malfitano, dove il dirigente sindacale della Camera del Lavoro della città del Santo, al termine di una fase molto laboriosa conclusasi con la composizione della Segreteria, traccia quali sono le problematiche del nostro territorio e quale sarà l’azione che la Cgil padovana intende intraprendere da qui al prossimo futuro.
«Riduzione dell'orario di lavoro, quarta rivoluzione industriale, transizione ecologica, rilancio della Zip, politiche dell'innovazione. Perché non facciamo di Padova una città sperimentale, che sia da traino per le altre zone del Paese?». Parole di Aldo Marturano, fresco di rinnovo alla guida della Cgil di Padova e con una segreteria appena rieletta che chiude la fase di riflessione interna al sindacato, aprendo quella della contaminazione con la città. Una sfida che chiama in campo - sul loro campo - imprenditori e politica. Una sfida a immaginare una nuova idea di città, modellata su Padova.
Segretario, ci troviamo di fronte a una situazione mai vissuta prima: tra pandemia, guerra e crisi climatica. Come si può affrontare?
«Appare chiaro che c'è un modello economico-sociale che non funziona più: il liberismo. Ciò nonostante abbiamo un governo thatcheriano. La defiscalizzazione è ben poca cosa. Di fronte a un'inflazione speculativa chi ci sta rimettendo di più sono i lavoratori dipendenti e i pensionati, vale a dire il 90% di chi paga le tasse».
I dati sui redditi ci dicono che si apre la forbice tra i grandi ricchi e i poveri: il 16% dei contribuenti dichiara meno di 10 mila euro annui. Eppure siamo un'area ricca?
«Siamo in un'area a vocazione terziaria. Quei redditi bassi incrociano questo tipo di occupazione: commercio, alberghiero, ristorazione, logistica. Di fatto anche nella nostra provincia manca un lavoro di qualità e salari adeguati. Chi ha bassi stipendi l'inflazione la paga due volte. Servirebbe una seria risposta fiscale di redistribuzione, non il contentino di un taglio del cuneo fiscale per evitare di discutere dei rinnovi contrattuali».
Come giudica le politiche industriali del governo?
«Sono lasciate in mano alle imprese, come quando dicono che abbassano l'Ires e abrogano l'Irap. In un momento di grandi transizioni serve il governo del pubblico».
In che modo?
«L'esempio, ancora una volta, è Padova. Abbiamo creato il Competence center tutti insieme per affrontare questa fase di transizione facendo incontrare impresa, lavoro e istituzioni e provando a candidarci come capitale dell'innovazione. Un percorso che purtroppo si è arrestato perché poi non sono arrivate le risorse. Se le politiche regionali non appoggia questi processi poi la città si inceppa».
Tornando al lavoro, siamo di fronte a un'ondata di dimissioni e alle difficoltà per molte imprese a reperire personale. Perché secondo lei?
«Con la pandemia i lavoratori si sono resi conto di essere indisponibili a condizioni di sfruttamento, a essere pagati poco e lavorare tanto. C'è stata una richiesta di attenzione per la qualità della vita. Un tema che arriva dai giovani soprattutto».
C'è poca voglia di lavorare?
«Affatto. C'è un tema più serio. Tutte le rivoluzioni industriali sono passate attraverso una riduzione dell'orario di lavoro. Un tema ineludibile che oggi non viene affrontato perché il mercato del lavoro si basa sullo sfruttamento. La nostra proposta di ridurre l'orario di lavoro è stata fatta proprio per non far prevalere il luddismo».Al contrario gli imprenditori chiedo che la scuola e l'università siano al servizio dell'impresa.«La scuola deve prima di tutto formare il cittadino del domani, per citare Giuseppe Di Vittorio. Poi c'è da dire che il lavoro del domani è un passaggio verso l'ignoto perché il progresso è talmente veloce che non sappiamo quelle che verrà. Per cui il vero tema è una scuola che educhi a quella duttilità e adattamento che il futuro impone. Attenzione: non ho usato il termine flessibilità perché si può interpretare male».
Una scuola che non dia solo nozioni ma una chiave interpretativa del futuro?
«Dobbiamo formare le persone a un'elasticità mentale e ad essere veloci nell'adattarsi ai processi di cambiamento. Tutto ciò si deve accompagnare però anche a una formazione permanente».
Il governo propone però anche una scuola che valorizzi il merito. Anche premiandolo con bonus in denaro, com'è accaduto allo Scalcerle. Lei che ne pensa?
«Rispondo con le parole di Emma Ruzzon: se ci concentriamo sulla competitività rischia di esplodere il disagio di quegli studenti che finiscono per sentirsi inadeguati. La scuola deve educare alla bellezza della vita e non alla competizione».
Gli studenti denunciano anche un'emergenza abitativa e pochi fondi per il diritto allo studio.
«Senza borsa di studio e senza case i ragazzi rinunciano allo studio. Si sta costruendo una università solo per chi se la può permettere».
Siamo anche di fronte a un inverno demografico impressionante. Come si risponde?
«Il governo pensa che basti dare qualche soldo in più alle donne perché stiano a casa a fare figli. Una risposta culturalmente sbagliata e con un'impostazione orribile. Bisogna dare servizi alle famiglie, finanziati con l'imposizione fiscale sui redditi più alti».
Basterà?
«Ci aiuterà l'arrivo dei migranti. Non ci sono alternative. Abbiamo una percentuale di immigrati più bassa di altri Paesi europei e degli Stati Uniti. E poi c'è il grande tema della previdenza sociale: un sistema che rischia di esplodere».
Il governo però taglia la protezione umanitaria e va alla guerra contro l'«invasione».
«Una politica demagogica che non fa bene al Paese. I migranti vanno integrati e formati, spesso sono persone che nei loro Paesi hanno dei titoli di studio e formazione».
C'è il tema di garantire anche lo stato sociale.
«Assistiamo a medici, infermieri e operatori sanitari che vanno via perché hanno stipendi non adeguati e carichi di lavoro enormi. La conseguenza è che la gente deve aspettare mesi per avere una visita. Chi ha i soldi le fa a pagamento. Per cui siamo già di fatto a una privatizzazione della sanità. Le scelte del governo di continuare a ridurre la spesa sanitaria vanno in questa direzione».
I tagli alla spesa colpiscono anche servizi come lo Spisal, fondamentali per prevenire le morti sul lavoro. È così?
«Questa per noi è una ferita aperta: muoiono 3 persone al giorno e nessuno si scandalizza più. A Padova abbiamo trovato la grande sensibilità del prefetto Raffaele Grassi, che ha aperto un tavolo di confronto. Ma non possiamo affidarci solo alla buona volontà di una persona. Serve una risposta di natura istituzionale».
Per tutto questo però è centrale il sistema fiscale. Voi cosa fareste?
«Il fisco garantisce il welfare, la sanità, l'istruzione, l'assistenza, le politiche di sviluppo. Abbiamo dimostrato che con la flat tax ci rimette la stragrande fascia dei redditi medi. E ci guadagnano solo i ricchi. Vanno tassati gli extra profitti».
Altro grande tema da affrontare è quello ambientale. La Cgil cosa dice, anche di fronte alle proteste più estreme?
«Fanno bene i giovani a porre questo problema con forza. Ma non può restare solo un problema dei giovani. Non c'è tempo da perdere: non è il pianeta che ne uscirà distrutto, ma la specie umana».
In conclusione, come la Cgil vede la Padova del futuro?
«La città si è data una progettualità importante, che tra l'altro si sviluppa molto sull'asse di via Venezia: l'alta velocità, la fiera come hub dell'innovazione, il rilancio dell'università, la questura e la Cittadella della Stanga, il nuovo ospedale. Resta una grande domanda sulla riqualificazione della Zip. Noi crediamo che vada rilanciata e se ne possa fare la Silicon Valley d'Italia».
In che modo?
«Dobbiamo fare di Padova una città modello, una città che sperimenta. Come la provincia di Valencia in Spagna. Lo si fa con un lavoro di rete e una progettualità costante. Ci dobbiamo credere tutti, come istituzioni ma anche con il coinvolgimento delle persone».
Qual è il ruolo del sindacato in questo processo?
«La Cgil resta un punto di riferimento per molti. Purtroppo oggi prevale una cultura della solitudine. Per educare alla complessità dobbiamo tornare al confronto, alla costruzione di un consenso. Questa è la grande sfida».
Come la affronterete?
«Abbiamo deciso di ricostituire una scuola di alta formazione sindacale proprio per affrontare questa fase di trasformazione e rilancio».
Discussione e apertura anche per superare le critiche interne?
«La Cgil c'è ed è anche più forte di prima. Apparentemente sembra essere messa in discussione, in realtà siamo concentrati su passaggi importanti, che richiedono una certa vitalità. Siamo una Camera del lavoro vitale e vivace. Non certo in crisi».
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