
Prima della crisi, Berti pavimenti in legno, azienda leader del settore con sede a Villa del Conte, dava lavoro a 141 persone. Il suo successo era evidentemente legato alle dinamiche dell'Edilizia, che ha subito colpi durissimi dal 2008 ad oggi. Questo non poteva non comportare conseguenze anche su un'impresa di questo tipo. Nonostante tutto, livelli occupazionali accettabili erano stati garantiti fino al 2014, e gli esuberi gestiti con politiche di incentivo all'esodo e l'utilizzo degli ammortizzatori sociali quali Cassa Integrazione Straordinaria, ordinaria e contratti di solidarietà, insieme a percorsi di formazione e outplacement, che consentivano ai lavoratori di scegliere se e quando accettare l'uscita dall'azienda. Le cose sono cambiate quando le banche hanno sollecitato l'azienda a sottoscrivere un accordo di ristrutturazione del debito, causato dall'investimento, proposto dalle stesse banche, nella realizzazione di un nuovo capannone. Si è trattato di una scelta che ha determinato un'ulteriore esposizione con ben otto istituti di credito. Le banche hanno poi preteso un piano industriale. Nel 2015 e' stato inoltre attivato da parte di uno degli Istituti l'articolo 182 bis della legge fallimentare, che prevede una particolare procedura per la ristrutturazione del debito, allungando i tempi previsti nel piano industriale per la ristrutturazione dell'Azienda. Nel piano industriale era prevista anche la trasformazione della società da SNC in SRL, cosa non ancora avvenuta, e il passaggio generazionale con l'intestazione del 90% dell'azienda ai figli del fondatore. E' infine arrivato un Amministratore delegato esterno, anche in questo caso su richiesta delle banche. Di questi giorni la scelta unilaterale di licenziare altre 29 persone delle 74 rimaste alle dipendenze della Società Berti, dopo i pensionamenti e gli esiti volontari.
"Si tratta di una scelta - dichiarano Rosanna Tosato della Segreteria provinciale della Fillea Cgil di Padova e Rosolino Coniglio della Filca Cisl di Padova e Rovigo - che non possiamo in nessun modo condividere, perché può soddisfare le esigenze delle banche ma non gli interessi dei lavoratori e, a nostro avviso, mette in discussione la continuità produttiva dell'azienda.
In questi anni - proseguono i due sindacalisti - abbiamo dimostrato, insieme ai lavoratori, grande senso di responsabilità, comprendendo le difficoltà e rendendoci disponibili ad attivare tutti gli ammortizzatori sociali a disposizione, dalla Cassa integrazione al contratto di solidarietà, e non abbiamo neppure ostacolato la politica degli incentivi all'esodo volontario.
Non abbiamo invece mai sottoscritto - sottolineano Tosato e Coniglio - il piano industriale deciso con le banche, perché prevedeva la riduzione del personale a 45 unità, obbiettivo che si sta raggiungendo con quest'ultima decisione, mentre il resto del piano è ben lontano dall'essere realizzato.
Ci chiediamo - concludono i rappresentati di Fillea e Filca - quali prospettive possa avere un'impresa che in pochi anni resta con poco più di un terzo dei suoi dipendenti iniziali. Non solo non abbiamo accettato di concordare con l'azienda criteri diversi da quelli previsti dalla legge nella decisione di chi lasciare a casa (anche se ci sono criteri molto discutibili contenuti nelle norme), ma ci opporremo a questa scelta con tutti gli strumenti a disposizione. Ci auguriamo una forte mobilitazione delle Istituzioni locali e regionali, che non possono assistere passivamente alla perdita di altre decine di posti di lavoro e alle difficoltà drammatiche che ricadranno su tante famiglie dell'Alta padovana".